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Veneto diVino: Vinitaly 2016

Chi non sogna, almeno una volta nella vita di visitare la magica terra veneta, avendo magari la possibilità di sorseggiare pregiati vini del luogo o provenienti da tutta Italia?

Pochi giorni fa ho avuto la fortuna di vivere questa esperienza che si è rivelata unica ed elettrizzante. Verona mi ha accolta con una delle manifestazioni più importanti e significative in cui, edizione dopo edizione, la parola d’ordine resta sempre e solo: vino. Quattro lettere che racchiudono un significato ricco e di gran lunga più complesso fatto di sapori, odori, tradizioni e italianità.

La cinquantesima edizione di Vinitaly si è rivelata ancora una volta un vero e proprio successo soddisfacendo gusti e aspettative, non solo degli addetti ai lavori. La manifestazione ha infatti permesso agli amanti del vino, ma anche a chi come me, non possiede spiccate conoscenze in materia enologica, di lasciarsi trasportare in un mondo piacevole e succoso, inebriandosi di sapori estasianti per il palato.

Come non restare affascinati da un evento che lascia nella mente di chi ci è stato il ricordo del ritmo frenetico e dinamico che anima e scandisce gli attimi vissuti tra i singoli padiglioni: vera essenza di regioni e luoghi di inestimabile ricchezza. Tra un sorso e l’altro, al suono di calici di vetro, si ha come l’impressione di attraversare l’Italia da nord a sud. Un viaggio emozionante tra vigneti autoctoni, filari di viti e grappoli d’uva, espressione di una tradizione intramontabile conosciuta in tutto il mondo.

Ed è sul calar della sera che le membra si abbandonano e si lasciano cullare dal tramonto mozzafiato sulle verdi distese venete, dopo che il soave nettare degli dei ha nutrito mente e spirito di ogni curioso viaggiatore.

Cetara: piccolo tesoro della Costa d’Amalfi

Cetara mi ha accolta nel tardo pomeriggio e sembrava lì quasi silenziosa ad aspettarmi. Piccola e calma sembra quasi abbracciarti e cullarti. La sua spiaggetta caratteristica ti invita a fermarti un attimo e a riflettere: il mare a Cetara sembra quasi impalpabile, le sue onde non si battono con forza sul bagnasciuga ma lo accarezzano dolcemente e mentre sei lì seduto tra i piccoli sassi guardi poco più in là i pescatori che terminano la loro giornata, accompagnati dagli ultimi raggi di sole che si tuffano in mare, dando vita ad un tramonto bellissimo, che Cetara come un pò tutti i paesi della Costiera ti regala senza se e senza ma.

Scoprendo la tradizione della colatura di alici, tipica di Cetara ti rendi ancora una volta conto, così come a Vietri, che il tempo in questi luoghi non ha scalfito la volontà di tramandare quella che è l’identità della propria terra attraverso saperi antichi e tradizioni secolari. Negli occhi degli artigiani, nelle mani operose delle anziane, nella voce appassionata di tutti gli abitanti di questi luoghi: pescatori, commercianti, anziani capisci che il valore delle cose risiede nella semplicità dei gesti che si tramandano da anni con amore, ma che necessitano, per continuare a tramandarsi, di essere conosciuti e comunicati.

Secondo il mio modo di vedere e sentire le cose, questo rappresenterebbe l’unica fonte di salvezza da un mondo odierno asettico e meccanico. Continue reading

RAVELLO: LA NATURALE BELLEZZA DI VILLA RUFOLO

Immersa in un vasto parco di flora mediterranea ed esotica, fu costruita nell’XI sec., quando la famiglia Rufolo decise di edificare l’emblema del proprio potere. I facoltosi proprietari impreziosirono la residenza con arredi di inestimabile valore, ampliarono la struttura al punto da contare “più ambienti che giorni dell’anno” e si dedicarono ad intrattenere salotti culturali tra le mura dell’eleganti sale. Con la decadenza della stirpe Rufolo, la residenza passò da una famiglia all’altra causando la dispersione del patrimonio; furono spogliati molti ambienti per adattarli al gusto Rococò e modificati strutturalmente. Nel 1851 il nobile scozzese Francis Nevile Reid, grande cultore dell’arte, acquistò la villa e incominciò il restauro.

I suoi spazi sono caratterizzati dalla Torre d’ingresso con superfici di un color giallo paglierino forse ricavato da smalto macinato di ceramiche; il Chiostro moresco ritmato da colonnine che sostengono archi ad ogiva; la Torre Maggiore; il Giardino in stile ottocentesco; il Pozzo; il Bagno turco con Balnea e Teatro; la Sala da pranzo e la Cappella oggi sede di mostre ed eventi artistici.

Ancora oggi sono evidenti aspetti architettonici arabo-siculi. Splendido il colonnato arabeggiante del chiostro.

Il giardino è uno dei più belli della Campania dove si tengono ogni anno, d’estate, i concerti del Ravello Festival. Wagner trovò proprio nel giardino di villa Rufolo ispirazione per il giardino di Klingsor del suo Parsifal.
La natura e l’opera dell’uomo concorrono a creare un’atmosfera di estrema suggestione: viali fiancheggiati da tigli e cipressi, cascate di fiori.

AMALFI: IL DUOMO

“Lo strapiombo aereo di Amalfi è immerso nella rete di colori puri che non ripetono i contrasti pigri e nauseanti di certe stagioni tropicali famose nei tracciati dei grandi viaggi. Qui è il giardino che cerchiamo sempre e inutilmente dopo i luoghi perfetti dell’infanzia.

(Salvatore Quasimodo, 1966)

Chiunque giunge ad Amalfi non può non restare affascinato dal suo straordinario Duomo. L’edificio sacro, dedicato a Sant’Andrea, è scenograficamente posizionato sulla sommità di una ripida scalinata che si apre tra le case raccolte attorno ad una piccola piazza, conferendo una nota particolare al centro storico di Amalfi. Imponente è la facciata policroma della chiesa, illuminata da smalti e mosaici e dal timpano dorato.

Il Duomo, costruito nel IX secolo, ha subito nel corso dei secoli, una serie di rifacimenti fino a che nell’800′, in seguito ad un disastroso crollo, venne completamente ristrutturato.

Tracce del Medioevo si ritrovano nel Chiostro del Paradiso,  edificato tra il 1266 e il 1268 e destinato a cimitero dei nobili amalfitani. Decorato con archi intrecciati su colonnine marmoree, conserva al suo interno reperti lapidei e sarcofagi di epoche diverse.

Dal chiostro si accede all’elemento più antico del Duomo di Amalfi cioè la Basilica del SS. Crocifisso, edificata prima dell’anno 833, dove al centro dell’aula è allestito il Museo diocesano, nel quale è esposto il Tesoro della Cattedrale.

Accanto alla Basilica del SS. Crocifisso, nel 987, sorse l’attuale Cattedrale dal soffitto a cassettoni, contraddistinto da una navata centrale, caratterizzata dal grande Crocifisso Ligneo del XIII sec.;in alto invece, sull’altare, è la tela del Martirio di S. Andrea. Nella navata sinistra vi è la Croce di Madreperla, portata dalla Terra Santa,di fianco il Battistero in porfido rosso egiziano e, scendendo lungo la navata, nelle cappelline laterali alcune Tele di Silvestro Mirra e dei suoi Allievi. Nella navata destra troviamo il Busto Reliquario di S. Andrea del sec. XVI e, sulla porta, una grande tela raffigurante S. Andrea e S. Matteo.

Preziosissima è poi la magnifica Cripta dove è custodito il corpo di S. Andrea, il primo discepolo di Gesù e Santo protettore di Amalfi, le cui spoglie giunsero ad Amalfi nel 1208, portate dall’Oriente nel corso della quarta crociata. La Cripta si presenta oggi nella forma barocca datata nel 1600 con scene della Passione di Gesù, incastonate fra ricche ed eleganti decorazioni a stucco. L’altare centrale, in marmo pregiato, è opera di Domenico Fontana. La grande statua bronzea è opera di Michelangelo Naccherino, fiorentino (1604).

MUSEO DELLA CARTA (AMALFI)

Il Museo della carta di Amalfi è un’ex cartiera trasformata in museo nel 1969 per volere di Nicola Milano, proprietario della cartiera ed appartenente ad una delle famiglie amalfitane famose per essere state operanti nella produzione e fabbricazione della carta di Amalfi. Il museo, situato nella valle dei Mulini, nella parte interna della città, ospita i macchinari e le attrezzature (opportunamente restaurati e perfettamente funzionanti) impiegati nell’antica cartiera per realizzare la carta a mano.
Al primo piano sono stati allestiti, inoltre, un’esposizione di fotografie e stampe documentaristiche e una biblioteca a tema contenente libri sulle tecniche di produzione, a testimonianza dell’importanza assunta da questo manufatto nella storia della repubblica marinara.

Amalfi è nota per la lavorazione dell’antica carta a mano, chiamata “bambagina” perché vellutata al tatto, fatta di pura cellulosa, morbida come la pelle di un bambino. La sua origine affonda nel Medio Evo, quando i mercanti amalfitani che navigavano verso i porti del Mediterraneo appresero dagli arabi il metodo di lavorazione della carta più a buon mercato della pergamena.

La lavorazione della carta a mano consisteva nelle seguenti fasi:

La materia prima era costituita dai cenci di cotone, lino e canapa, che venivano raccolti in apposite vasche di pietra dette “pile” ed erano triturati e ridotti in forma di poltiglia mediante una serie di magli di legno, alla cui estremità erano sistemati dei chiodi in ferro. La forma e le dimensioni di questi chiodi determinava la consistenza della poltiglia e, quindi la grammatura o spessore dei fogli di carta. Il movimento dei magli era generato dalla forza dell’acqua.

Una volta preparata la poltiglia, veniva raccolta in un tino che consisteva in una vasca rivestita di maioliche. Nel tino poi si calava la “forma”, che aveva la bordatura in legno (cassio) e la filigrana nel mezzo, composta da una fitta rete di fili di ottone o bronzo. La filigrana conteneva i marchi di fabbrica, che servivano a contraddistinguere i vari cartari. Una volta prodotto il foglio, questo si poneva ad asciugare su dei panni e si aspettava la sua asciugatura, che variava in base alle condizioni metereologiche e/o ambientali.

Un’opera avvolta dal mistero: gli Avori di Salerno

Qualche tempo fa, passeggiando per le stradine del centro storico di Salerno, alle spalle del duomo, mi sono imbattuta per la prima volta nel Museo Diocesano San Matteo, scrigno di rare bellezze. Il Museo, un tempo sede del seminario arcivescovile, è stato riaperto nel dicembre 2011 dopo una lunga chiusura e rappresenta con la sua collezione una testimonianza della grandezza e vivacità che la città di Salerno raggiunse in epoca Longobarda e che mantenne fino al Seicento.

All’interno, risalendo lo scalone in pietra, nella prima sala, una luce fioca sembra invitarti ad entrare. Una sala cupa, le cui pareti sono completamente granata, è tagliata da una fascia di luce orizzontale che illumina la collezione di circa settanta pezzi in avorio. La disposizione quasi circolare di essi coinvolge, cattura e immerge in un mondo medievale fatto di storie, di gesti, di luoghi ma soprattutto di persone. La perfezione di ogni singola tavoletta stupisce, la precisione geometrica della forma, la loro lucentezza, i loro intagli… è impensabile che ogni singolo pezzo sia stato ricavato da pezzi conici quali zanne di elefanti e minuziosamente lavorate. La narrazione degli eventi è così coinvolgente da sembrare una Bibbia parlante, il linguaggio delle immagini è semplice, il racconto è cronologico.

Il ciclo si apre con la rappresentazione dei sei giorni della Creazione, prosegue con le scene del peccato dei progenitori, la storia di Noè, dei profeti e di Mosè. La seconda parte invece è interamente dedicata alla vita di Cristo (Infanzia, Vita pubblica, Miracoli, Passione, Resurrezione e Pentecoste), qui le tavolette si affollano di personaggi, di sfondi architettonici minuziosamente riprodotti, sentori d’arte islamica s’intrecciano con quella che doveva essere la cultura mediterranea del XII secolo. Nel complesso l’intero ciclo eburneo riporta in immagini un progetto teologico finalizzato al tema della Salvezza attraverso la Chiesa.

Le singole tavolette catturano l’attenzione e immergono l’osservatore nel loro mondo. La lettura delle singole formelle detta il movimento del visitatore, un movimento lento, come lento era il tempo del Medioevo.

Gli avori di Salerno, sebbene ancora poco noti, rappresentano una delle più grandi opere eburnee presenti al mondo ma in realtà ciò che li rende unici è l’alone di mistero che gravita su di loro. I numerosi enigmi riguardo la data, il luogo di realizzazione, il committente, gli intagliatori e l’oggetto che probabilmente andavano a costituire… rimangono tutti sono ancora irrisolti!

I colori del cielo, del sole, del mare: Vietri

Vietri mi ha accolta con un esplosione di colori che sono rimasti impressi nella mia mente e che rimangono il ricordo più rappresentativo di questa giornata in costiera.
La visita ad una piccola realtà artigianale che è quella della lavorazione della ceramica mi ha piacevolmente colpito e allo stesso tempo affascinato. L’amore degli artigiani nel creare immergendo le loro mani e soprattutto il loro cuore nell’argilla scivolosa, testimonia come a Vietri la tradizione artigianale vive ancora negli animi delle persone che la abitano. Vedere con quanto amore si crea e si da vita ad un oggetto unico al mondo illuminandolo di colori caldi e vivi presi dal sole, dal cielo e dal bellissimo mare della Costa d’Amalfi non ha prezzo.
Le chiese e i monumenti ti affascinano sempre perché una volta entrati sembra quasi di accedere ad un mondo sacro non solo nel senso religioso del termine, ma sacro perché preservato dai suoi abitanti.

Ho scoperto strade e luoghi prima a me sconosciuti ma al di là di questo li ho attraversati scoprendo la disponibilità e l’amore dei vietresi per la propria terra. Con la guida sapiente di un commerciante del luogo che ha “abbandonato” momentaneamente il suo posto di lavoro ho scoperto storie, tradizioni e aneddoti che solo la voce del popolo può donarti: ascoltare la leggenda di Vietri legata ai suoi due famosi scogli, conoscere gli anziani del luogo e le loro opere sconosciute ai più, scendere velocemente i gradini infiniti verso il mare con l’entusiasmo di una bambina e infine soffermarmi a respirare il profumo del mare sulla spiaggia sassosa di Vietri.

Atrani: tra leggenda e storia

Con molto piacere desidero parlarvi di uno dei borghi più ammirevoli della costiera amalfitana: Atrani, luogo magico da cui sono rimasta totalmente ammaliata ed incantata. Stretta tra i monti ed il mare in un particolarissimo contesto naturale ed architettonico, Atrani presenta ancora quasi intatte le tracce del suo passato. La sua è una storia antica fatta di miti, di cultura popolare, di scorci suggestivi e vicoli ciechi.

In un simile e suggestivo , in grado di evocare fantasie e suggestioni, si inserisce una delle leggende più antiche di questo affascinante borgo, che ho avuto modo di ascoltare personalmente da una ragazza del posto, nonché una mia cara amica. Il racconto ha come protagonista Masaniello: personaggio a metà tra storia e leggenda, e in particolare la sua fuga in una delle cavità del monte Aureo per scampare all’ inseguimento dei gendarmi del viceré di Napoli. La grotta, che ancora porta il suo nome, si trova in uno dei punti più belli del paese e vicino alla chiesa di S. Maria del Bando.

Proprio da questa leggenda, da come mi è stato dettagliatamente raccontato, prende le mosse un evento-spettacolo: “Atrani teatro aperto”, realizzato nel mese di agosto, con l’intento di riportare alla luce una parte della coscienza popolare del paese e rinvigorire il legame tra il borgo e le sue tradizioni. La scelta di dedicare uno spettacolo teatrale alla figura storica di Masaniello non è dunque casuale, ma si propone di riportare in salvo la portata mitica delle radici atranesi, recuperandone la dimensione leggendaria attingendo all’enorme bacino di tradizioni, credenze e miti che formano la coscienza popolare di Atrani e che  servono a valorizzare passato e presente.

Minori Art Open Space,
nuova sfida interpretativa

In occasione della visita a Minori, nell’incantevole Costiera Amalfitana, camminando per le strade del paese, mi sono imbattuta in qualcosa che ha catturato la mia attenzione.

Si tratta di una serie di installazioni molto particolari che potremmo definire sculture, realizzate con materiali di riciclo come sedie, cassetti, manichini, assemblati insieme in modo da risultare completamente diversi per forma e funzione rispetto a ciò che originariamente incarnavano.

Collocati lungo le vie del paese, decontestualizzati e ricontestualizzati, sono apparsi come oscure e colorate presenze palesandosi inaspettatamente dinanzi ai miei occhi.

Manifestavano un processo creativo ben visibile eppure racchiudevano in sé qualcosa di criptico che mi spingeva ad interagire con l’opera che ad una prima occhiata mi è addirittura apparsa come un simpatico arredo urbano, mentre ad una più attenta analisi mi ha stupita per la geniale banalità con cui l’opera stessa era stata concepita.

Un assemblage improbabile di oggetti già vissuti e di nuovo viventi, o soltanto addobbo urbano? Lascio a voi la possibilità di andare ad incontrarle di persona, di trarne la vostra interpretazione e confrontarla con la mia.
Vi lascio qui delle immagini esemplificative che raffigurano alcune delle opere presenti e facenti parte della mostra Minori Art Open Space.

Augurandomi che questa mia proposta risulti per voi accattivante, vi invito con questo pretesto a visitare anche le altre bellezze artistiche e  paesaggistiche di Minori, meraviglioso borgo della costiera amalfitana e ad assaggiare l’ottimo limoncello, liquore tipico della zona.